CYBERBULLISMO: LA NECESSITA’ DI UN’EDUCAZIONE “VIRTUALE”.
Per cyberbullismo
“si intende qualunque forma
di pressione, aggressione,
molestia, ricatto, ingiuria,
denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione
illecita, manipolazione, trattamento
illecito di dati personali in danno di
minorenni, realizzata per
via telematica, nonché' la
diffusione di contenuti on line aventi
ad oggetto anche uno o
più componenti della
famiglia del minore
il cui scopo intenzionale e predominante sia quello
di isolare un
minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio
abuso, un attacco dannoso, o la loro
messa in ridicolo”.
Questa è la definizione riportata
nella nuova LEGGE n° 71 del 29 maggio 2017: “Disposizioni a tutela dei minori
per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”.
Le disposizioni fornite si fanno
carico e risposta di un vero allarme sociale: infatti, sembra che oltre il 34%
degli atti di bullismo sia online. La possibilità di “bullizzare” attraverso
mezzi tecnologici ha per il soggetto alcuni vantaggi immediati: la speranza
dell’anonimato, la difficile reperibilità della fonte, indebolimento delle
remore etiche e l’assenza dei limiti spazio-temporali. Lo spazio virtuale si
presenta come un’area libera, senza limiti, dove tutto è possibile e senza
conseguenze; questo permette al ragazzo bullo di agire liberamente e non solo
nel contesto specifico della scuola, ma investendo la vittima ogni volta che si
collega al mezzo elettronico utilizzato dal cyberbullo.
La prevaricazione arriva per quei
ragazzi deboli, introversi, fragili fisicamente o psicologicamente, incapaci di
denunciare il fenomeno e si trasforma in una perversa reiterazione di atti
offensivi e violenti. I sentimenti di profonda vergogna e imbarazzo provati
dalla vittima non faranno altro che rinforzare le manifestazioni violente e
aggressive, con il probabile sviluppo di sintomi depressivi e ansiosi molto
forti.
Il bullo non prova alcuna
compassione per la sofferenza procurata e prova piacere nel dominare,
prevaricare la vittima, trovando spesso nel gruppo dei pari una forma di
consenso e approvazione tacita che permette e non ostacola l’atto violento. È
chiaro che questa sia la manifestazione di un disagio relazionale e ambientale
del bambino o ragazzo bullo, il quale esprime tramite la violenza e le
prevaricazioni le sue difficoltà psicologiche individuali, purtroppo spesso
sotto gli occhi di adulti indifferenti e poco consapevoli del vero significato
di questo fenomeno. Inoltre, come già detto, lo spazio virtuale permette
all’utente di deresponsabilizzarsi, di credere che quanto si scrive e si dice
sia meno vero, meno reale, meno personale. L’indice di gravità percepito è
sicuramente un fattore predisponente ma, purtroppo, del tutto illusorio e
inverosimile: l’atto offensivo indiretto, pubblicato online, pur non inficiando
fisicamente la vittima è in grado di distruggergli la vita in un modo drammaticamente
reale.
Si arriva sempre allo stesso
punto, bisogna consapevolizzare e sensibilizzare rispetto al fenomeno del
bullismo, spiegarlo a casa e a scuola, bisogna farsi portavoce di una realtà
drammatica e combatterla. Il proposito della legge è proprio questo. La proposta
nasce in seguito alla vicenda di Carolina, una ragazza di Novara, che in
seguito alla pubblicazione di un video su Facebook in cui veniva violenta da
sei ragazzi, decideva di suicidarsi buttandosi dal terzo piano della casa dove
viveva. Da tale fatto sono passati 4 lunghi anni e dopo varie rivisitazioni la
legge è diventata realtà.
Il bullismo e il cyberbullismo
colpiscono e coinvolgono maggiormente due fasce d’età senza particolari
differenze tra maschi e femmine: la prima si colloca tra i 7 e gli 8 anni di
età, mentre la seconda tra i 14 e i 18 anni. Per tali ragioni, sembra
importante riconoscere il proposito della legge di relegare un ruolo decisivo alle
istituzioni scolastiche nella prevenzione e nell’attuazione di azioni di
contrasto al fenomeno. Ogni istituto scolastico avrà un referente per le
iniziative di informazioni e sensibilizzazione, mentre al preside spetterà il
compito di informare le famiglie dei giovani coinvolti e di attivare, in caso
di necessità, adeguate azioni di carattere educativo e di assistenza alla
vittima.
L’oscuramento di qualsiasi dato
personale del minore vittima di cyberbullismo potrà essere chiesta
personalmente da quest’ultimo a patto che abbia compiuto 14 anni. La rimozione
dei dati deve essere eseguita dal sito Internet o dal Social Media entro le 48
ore dalla richiesta. Sembra ovvio che la richiesta potrà essere effettuata
anche da qualsiasi persona avente la responsabilità genitoriale sul minore.
Viene introdotta anche la
possibilità da parte del questore di applicare il provvedimento di ammonizione.
Nel caso in cui il fatto non sia stato seguito da una querela o denuncia per i
reati di ingiuria, diffamazione, minaccia o trattamento illecito di dati
personali commessi, mediante Internet, da minorenni sopra i 14 anni nei
confronti di altro minorenne, il questore potrà convocare il minore
responsabile ammonendolo oralmente ed invitandolo a tenere una condotta
conforme alla legge. Gli effetti di tale provvedimento spariscono al compimento
della maggiore età. Tale provvedimento
amministrativo costituisce una via alternativa alla querela e al procedimento
penale. Ricordiamoci che parliamo di ragazzi e non di criminali.
Stabilire dei limiti, anche
legislativi, forse potrà servire a indicare la via alle nuove generazioni. Insegnare
ai bambini e ai ragazzi che la libertà non è un dono di alcuni, ma è un diritto
e un sentimento di tutti che si acquisisce in un percorso lungo una vita caratterizzato
dalla comprensione, dalla collaborazione e non dalla violenza, forse potrà essere
un punto d’inizio. La prevenzione deve diventare uno stile educativo e non il
risanamento di un allarme sociale.
Noi adulti non dobbiamo avere paura di parlarne, di dire che il
bullismo è un reato e che può anche simbolizzare un bisogno e un disagio. Non
dobbiamo avere paura di spiegare, di capire e di aiutare.
Insegniamo ai figli che Facebook
e qualsiasi altro Social Media, pur essendo virtuale, esprime realtà personali
e intime di ognuno di noi, è il nostro specchio e forse proprio per questo è
inutile nascondersi dietro ad un ‘condividi’ o ad un ‘mi piace’. Educare alla
vita e educare al virtuale sembrano ormai le due vie necessarie per poter
recuperare un po' di quelle responsabilità relazionali perse nell'astratto mondo
del Web.
Dott.ssa Giulia Tavilli
Laureata in Psicologia
Clinica, con indirizzo ‘Devianza e Sessuologia’
In formazione per le
specializzazioni in Dipendenze Patologiche e Psicologia Giuridica.
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