SOCIAL MEDIA: LO ‘SPETTACOLO’ DELLA VIOLENZA IN DIRETTA LIVE.
Basta fare una breve ricerca su
Google e si scopriranno centinaia di casi di crimini postati online in diretta
Facebook: omicidi, sevizie, bullismo, abusi sessuali. Nonostante lo sgomento
che questi video provocano nell’utente sembra ormai questo un fenomeno
inarrestabile e di difficile gestione. Sicuramente, tale fenomeno, non era
nelle intenzioni e nelle previsioni di Facebook e sicuramente diverranno
necessarie nuove regole e precauzioni. I
video postati passano da utente ad utente raggiungendo migliaia di
visualizzazioni ancora prima che le autorità siano in grado di eliminarli,
finendo addirittura su canali Youtube. Le domande che nascono sono molte,
soprattutto perché dietro agli schermi, dietro al video postato ci sono
persone. Smaterializzare un orrore in un file dati e guardarlo al sicuro dal
nostro schermo non rende meno preoccupante e devastante un crimine.
L’ultimo caso è quello successo ieri in Thailandia. Riportando la
notizia direttamente dal sito ANSA: Un
ventunenne thailandese ha impiccato la figlia di undici mesi e poi sé stesso in
diretta live su Facebook. È successo ieri sera a Phuket, come riporta il
Bangkok Post, in un hotel abbandonato che la popolazione locale già credeva
infestato dai fantasmi. La polizia ha trovato i due cadaveri nell'ex hotel
Peninsula, dopo che la moglie dell'uomo aveva denunciato l'esistenza del
macabro video. L'omicidio- suicidio è avvenuto qualche ora dopo uno screzio tra i due coniugi. Il video
è rimasto in rete diverse ore.
Lo sgomento che si prova è
infinito. Un uomo uccide sua figlia, una neonata, e poi si uccide, il tutto in
diretta live. Perché? È giusto chiedercelo e rifletterci.
I media e i social network hanno
rivoluzionato il nostro modo di comunicare e la nostra vita quotidiana. Lo
spazio virtuale, l’informazione e i social network fanno parte della nostra
realtà in modo indissolubile. Ci hanno liberato dal luogo materiale per
permetterci una connessione costante e frequente senza limiti di tempo e di
spazio, seppur a volte troppo superficiale.
La vera difficoltà per l’individuo è quella del limite, che per
definizione la realtà virtuale non ha. L’individuo del terzo millennio si trova
spesso a discernere con difficoltà la ‘realtà reale’ da quella virtuale,
assimilandone i valori comportamentali anche nella sfera privata.
Insomma, sembra non solo che i social media e la realtà virtuale
abbiamo influenzato il mondo delle informazioni e delle notizie, ma abbiano
completamente modificato il modo di pensare, creare e percepire la relazione e
la costruzione di legami. Lo stare connessi a volte, diventa più importante
dell’esserci e l’osservare il mondo sembra più importante che conoscerlo. Così,
la violenza diventa spettacolo e noi rimaniamo a guardare, sempre meno
sensibili al suo effetto.
Quando vediamo un video del
genere, subiamo un’informazione sempre più concentrata a spettacolizzare. Il
vero problema è che in questi casi si permette di spettacolizzare la morte e la
violenza. Le barriere della privacy, dell’identità delle vittime, anche se
minori, la loro tutela e la tutela per la nostra sensibilità in questo angusto
fenomeno vengono completamente abbattute.
Così fa l’attore e così fa lo spettatore del crimine! Siamo portati a
smaterializzare, a rendere virtuale tutto quello che ci circonda, a creare più
connessioni che legami, a controllare costantemente quanti like e quante
visualizzazioni abbiamo avuto sui nostri social. A volte succede anche di
perdersi in questo mondo parallelo, nella nomofobia (dipendenza da smartphone)
e nella dipendenza da social, con dinamiche assolutamente simili a quelle delle
dipendenze da sostanze.
Le potenzialità degli strumenti tecnologici si integrano perfettamente
con le difficoltà emotive e individuali del nostro tempo: accumuliamo connessioni
e poi per paura di rimanerne imbrigliati in una relazione stabile e
impegnativa, a volte poco immediata, la scioglieremo non appena lo scenario
venga a mutare.
Non ci sono
fasce d’età e status sociali che vedano differenze, siamo tutti figli della
tecnologia.
Senza negare
l’importanza e l’utilità di essa dovremo tutti un po' interrogarci sul ruolo e
sul valore che ha nella nostra vita. La vita non è uno schermo da cui guardare
ma un palcoscenico su cui vivere.
Dott.ssa Giulia Tavilli
Laurea in Psicologia
Clinica, con indirizzo ‘Devianza Sessulogia’
In formazione per le
specializzazioni in Dipendenze Patologiche e Psicogiuridica.
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