La rubrica delle parole: OMOFOBIA
La parola omofobia rintraccia la
sua etimologia nel greco antico: troviamo ‘fobia’, letteralmente ‘paura’ e ‘omo’ che in realtà, in questo caso, perde
il suo significato originario di ‘stesso’ per acquisire un valore leggermente
diverso, ovvero quello di abbreviazione della parola ‘omosessuale’.
Questo termini fu coniato negli anni 70’ dallo psicologo George
Weinberg, per definire la paura, l’odio e l’intolleranza nei confronti delle
persone omossessuali da parte della società eterosessista. Lo psicologo
spiegava che questo tipo di fobia, diversamente da altre che si impongono solo
come un limite e una difficoltà personale, si caratterizza come operante di
pregiudizio. In definitiva, gli effetti negativi di tale paura non vengono
percepiti solo sulla persona affetta, quanto da coloro verso cui il pregiudizio
lavora, ovvero verso gli omosessuali.
La realtà è che l’omofobia non è
solo una caratteristica individuale ma è necessariamente inquadrabile come un
fenomeno sociale, prossimo alla discriminazione e non troppo lontano dal
razzismo. Il problema non è semplicemente psicologico ma anche culturale.
Dunque si nasce o si diventa
omofobi? Quale ragioni profonde sono nascoste dietro a tale atteggiamento? La
paura del diverso è qualcosa di radicato nell’animo umano e da sempre ogni
cambiamento rispetto alla cultura, alla società, al modo di vivere ci spaventa
e ci immobilizza. Questa però, è una spiegazione assolutamente parziale. L’aspetto
che influisce maggiormente nello sviluppo dell’omofobia è quello culturale ed
educazionale, dove ritracciamo forti moralismi e ignoranze nei confronti della
sessualità in genere e non solo quella omosessuale. La rigidità e la chiusura mentale
caratterizzano fortemente l’aspetto omofobico nell’individuo. L’omofobia
sociale che ci circonda fin da piccoli, caratterizzata prevalentemente da un
atteggiamento non neutrale nei confronti dell’omosessualità e soprattutto eteronormativo,
condiziona l’individuo inevitabilmente. Si nota, che lo stesso omosessuale può
essere preda di questi sentimenti e mettere in atto ciò che viene definito
‘omofobia interiorizzata’, ovvero quel sentimento dispregiativo e di
inferiorità che l’individuo prova per il suo stesso orientamento sessuale.
L’accettazione di sé in questi casi è ancora più difficile, soprattutto se si
vive in un contesto ambientale e sociale dove si ritiene l’omosessualità un
‘peccato’. Tale fatto è drammaticamente confermato nelle statistiche che vedono
sempre più crescere i numeri dei suicidi in giovani adolescenti omosessuali. Ma
è tutto qui?
Una ricerca del 2015, effettuata
su un campione di 560 studenti dell’Università dell’Aquila, svolta dall'attuale
docente di sessuologia medica all'Università di Tor Vergata a Roma Emmanuele
Jannini, ci suggerisce alcuni dati quantomeno interessanti. La ricerca afferma
che personalità deboli, fragili e timorose siano la base per lo sviluppo di
idee omofobe, sottolineando che il genere maschile siano molto più propenso
rispetto a quello femminile. Questo avviene, secondo Jannini, poiché l’identità
di genere nel maschio è biologicamente più fragile rispetto a quella femminile
e sono, dunque, portati ad affermare la propria mascolinità in modo costante
alla ricerca di continue conferme. Queste reazioni sono provocate da paure e
timori che possono sfociare anche nell'omofobia.
Forse è giusto chiedersi il
perché, data l’impossibilità scientifica di definire l’omosessualità una scelta
o una moda, sia ancora giusto considerare l’omosessualità una colpa. La paura è
la peggior nemica della consapevolezza.
Dott.ssa Giulia Tavilli
Laurea in Psicologia
Clinica, con indirizzo ‘Devianza Sessulogia’
In formazione per le specializzazioni in Dipendenze Patologiche e
Psicogiuridica
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