La rubrica delle parole: AZZARDO E GIOCO.

La parola “azzardo” deriva dal francese hasard, a sua volta termine di origine araba “az-zahr” che significa dadi. In italiano, la parola ha assunto il significato di rischio, avventatezza. Èproprio questo significato a dare vita alla locuzione “gioco d’azzardo”, ovvero ad ogni tipo di gioco dove le abilità del giocatore vadano in secondo piano rispetto al ruolo della sorte e della fortuna. 
Le origini del gioco d’azzardo sono antichissime. Alcuni autori, addirittura, rintracciano tali origini nei rituali religiosi di alcuni popoli primitivi, i quali utilizzavano il gioco come attività divinatoria allo scopo di forzare la volontà del fato. Tra i giochi sopravvissuti fino ai giorni nostri, il gioco dei dadi vanta la storia più lunga, sopravvivendo ai grandi mutamenti delle diverse società nel corso delle varie epoche, passando per le diverse fasi di permissivismo e totale proibizione. Con esso, abbiamo le corse dei cavalli, le lotterie e la roulette. Si vede solo nel 1985 l’invenzione, da parte di Charles Fey, della slote-machine
Attualmente nella società si assiste ad una fase di legalizzazione del gioco d’azzardo seguita da interessi economici importanti che hanno incoraggiato gli Stati a promuove le politiche d’incentivazione. Fra questi stati l’Italia è presente in larga scala. Gli scommettitori in Italia sono circa 30 milioni, coinvolgendo circa il 70-80% della popolazione adulta. Le cifre crescono e l’affermarsi dei casinò virtuali e la possibilità da parte dell’utente di accedere a tali servizi 24 ore su 24 contribuisce a diffondere sempre di più il consumo incontrollato di tali servizi e del gioco, con l’inevitabile aumento delle dipendenze e dei costi sanitari relativi.
Il gambling (traduzione inglese di gioco d’azzardo) è in grado di trasformarsi in una malattia progressiva, in una vera e propria dipendenza. Il gioco consente una fuga dalla realtà, dai problemi della propria quotidianità. Una vera e propria evasione temporanea e normativa, in grado di adempiere ad alcune caratteristiche intrinseche al gioco stesso: il piacere di giocare e la compensazione temporanea di un malessere. Questa sensazione assorbe il giocatore, il quale fantasticando vincite strabilianti, sfiderà sempre di più la fortuna certo di vincere. Quello che conta per un giocatore patologico è essere in azione, rischiare. L’emozione che il gioco riesce a donargli, fa dimenticare il valore del denaro, delle relazioni significative, della famiglia e lo porterà sempre di più verso ingenti perdite e verso l’inasprirsi della patologia. 
La particolarità del gioco d’azzardo patologico rispetto alle altre dipendenze, risiede nel ruolo che in questa patologia viene svolto dal denaro. Nelle altre dipendenze il denaro è il mezzo per procurarsi la sostanza o attuare il comportamento per cui si è dipendenti, nel gioco d’azzardo patologico ha sia funzione di mezzo che di fine: il denaro è il mezzo con cui si gioca per ottenere altro denaro. Dunque, oltre ad un rapporto patologico con il gioco, si instaurerà un rapporto patologico con il denaro che spingerà l’individuo alla ricerca continua di questo mezzo, coinvolgendo dapprima le persone significative e poi, una volta esaurite le risorse più immediate, vi è il rischio che il soggetto incorra in atti illeciti per finanziare la propria attività. 
Quello che è importante dire, è che non tutti i giocatori diventeranno patologici; soprattutto quei giocatori che non rispondo al gioco d’azzardo con cambiamenti psicologici considerati positivi e funzionali dallo stesso individuo e che non proveranno una particolare ed intensa eccitazione nel gioco. 
Per il gioco d’azzardo, il problema non è il consumo ma il suo eventuale uso incontrollato e abusante. La prevenzione e la conoscenza del fenomeno non può ridursi all’ultima frase di un spot pubblicitario, ma deve allargarsi e diffondersi per tutte le fasce d’età e gli strati sociali, poiché il gioco è alla portata di tutti. 
Le opportunità economiche che ne derivano, i numeri di occupati nell’ambito delle scommesse che salgono circa a 150.000 persone e la grande fetta che si conquista nel nostro Pil, dovrebbero essere bilanciate in modo equo in base ai rischi sanitari che ne derivano. Dietro ad un giocatore e alla sua dipendenza, ci sono anche famiglie, figli, mogli, mariti e genitori e le loro numerose sofferenze. 
Il gioco rassomiglia a un’oasi di gioia, raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tentalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo un po' liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti in un altro mondo dove la vita appare più leggera, più felice”. 
Fink, Oasi della gioia, 1957.

Dott.ssa Giulia Tavilli
Laureata in Psicologia Clinica, con indirizzo ‘Devianza e Sessuologia’

In formazione per le specializzazioni in Dipendenze Patologiche e Psicologia Giuridica.

Commenti

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